Dato il mancato richiamo dell’art. 415 bis del c.p.p. all’interno del D.lgs 231/2001 si è posto il dubbio se tale disciplina fosse applicabile o meno anche al processo penale in cui l’Ente è chiamato a rispondere ai sensi della predetta normativa.
La mancata notifica all’Ente dell’avviso ex art. 415 bis cpp, infatti, incide fortemente sulle determinazioni e sull’esercizio del diritto di difesa, in quanto la Società incolpata è costretta a prendere conoscenza dello stato del procedimento solo con la fissazione dell’udienza preliminare senza poter godere delle prerogative difensive che sono garantite dalla comunicazione dell’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari.
L’omessa notifica all’Ente preclude infatti le facoltà garantite dall’art. 415 bis c.p.p., non potendo esso prendere consapevolezza dell’imminente esercizio dell’azione penale, degli elementi raccolti a suo sostegno e chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio per mezzo del proprio legale rappresentante, soprattutto tenuto conto della complessità dei procedimenti disciplinati dal D.lgs 231/2001 per la cui assistenza in giudizio è spesso richiesta una attività difensiva complessa.
Sull’importanza del preventivo avviso di conclusione delle indagini preliminari è sufficiente osservare che il Legislatore ha previsto la specifica causa di nullità sancita dall’art. 416, c. 1 c.p.p. proprio a tutela delle prerogative di cui all’art, 415 bis c.p.p., determinando l’invalidità della richiesta di rinvio a giudizio che non sia stata preceduta dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Ebbene, la tutela assicurata dall’art. 416 c.p.p. è certamente applicabile anche alla particolare condizione di ente incolpato per effetto delle disposizioni generali sancite dagli artt. 34 e 35 del D.lgs. 231/2001.
La parificazione operata dal Legislatore nel D.Lgs. 231/2001 tra l’imputato o la persona sottoposta ad indagini (giusta l’estensione operata dall’art. 61 c.p.p. all’indagato) e l’Ente, invero, lungi dall’essere soltanto una norma di chiusura del sotto-sistema, dettata dalla preoccupazione del Legislatore di colmare possibili lacune in grado di pregiudicare l’operatività della disciplina, esprime la volontà di apprestare, anche in questa materia, un sistema di garanzie analogo a quello delineato dal codice di rito per l’accertamento del reato.
Conseguentemente, ancorché non espressamente previsto, deve ritenersi che questo sistema di garanzie non possa prescindere dall’avviso all’Ente della conclusione delle indagini, qualora il Pubblico Ministero non intenda procedere all’archiviazione del procedimento, come previsto dall’art. 415 bis c.p.p. per l’indagato. Pertanto, affermata la necessità dell’avviso, è consequenziale ritenere che sia colpita dalla sanzione di nullità, prevista dall’art. 416 comma 1 c.p.p., la richiesta di rinvio a giudizio non preceduta dall’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p.
La giurisprudenza si è sempre orientata nel senso che “l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni amministrative a carico di enti e società, previsti dagli art 35 e ss. d.lg. n. 231 del 2001, avvengono nel processo penale, e sono perciò soggetti alle medesime garanzie previste per l’accertamento del reato. Ne consegue il rinvio a giudizio dell’ente, preordinato all’irrogazione di una delle suddette sanzioni, deve a pena di nullità essere preceduto dall’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., ovvero dall’invito a presentarsi ex art. 375 c.p.p.” (prima sentenza sul punto Trib. Torino 11/06/2004, poi sempre confermata in sedi di merito e legittimità).
La Suprema Corte ha recentemente confermato la ratio di questo principio con la sentenza n. 31641/2018, soffermandosi esplicitamente sull’applicabilità dell’art. 416 c.p.p. al regime delle responsabilità amministrative delle persone giuridiche affermando che “risulta evidente la compatibilità tra i presupposti di validità della richiesta di rinvio a giudizio disciplinati dall’art 416 c.p.p., comma 1, ed il rito speciale nei confronti dell’ente, trattandosi di regole che s’inseriscono in una scansione procedimentale espressamente richiamata dal D.lgs. n. 231 del 2001, art. 59 e che riguardano la garanzia del diritto di difesa, ossia di un principio costituzionale sotteso alle disposizioni del codice di rito richiamate in chiave integratrice dal D.lgs. n. 231 del 2001, art. 34”.
La migliore dottrina, parimenti, è orientata nel senso medesimo, avendo osservato che “[…] ipotesi di invalidità dell’atto di promovimento dell’azione deriva dal mancato rispetto degli obblighi informativi e di ‘ascolto’ imposti al Pubblico Ministero al termine delle indagini preliminari. In ragione dell’applicabilità, in questa sede, degli artt. 415 bis e 416 comma 1 c.p.p., il giudice dichiarerà nulla la richiesta di rinvio a giudizio della società sia nel caso in cui non sia stata preceduta dall’avviso di conclusione delle indagini, sia quando l’ente che abbia (tempestivamente) fatto richiesta di essere ‘sentito’ non sia stato invitato a presentarsi per rendere interrogatorio” (M. Ceresa-Gastaldo, Procedura penale delle società, Torino, 2019, pag. 193)
Dato quanto sopra non si può che concludere come, pur in assenza di un esplicito richiamo dell’art. 415 bis c.p.p. all’interno del D.lgs 231/2001, debba comunque essere notificato all’Ente l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.