Come noto, uno dei maggiori rischi per gli imprenditori e gli amministratori che si trovano costretti a richiedere la procedura di fallimento è costituito dalla possibilità di essere indagati per i reati fallimentari, primi fra tutti quelli di bancarotta.
Fra le numerose ipotesi di reato riferibili alla bancarotta semplice o fraudolenta, ne è presente una particolarmente insidiosa la c.d. “bancarotta preferenziale” che punisce chi: “prima o durante la procedura fallimentare, allo scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di esse, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione”. Art. 216 III comma L.F.
Tale delitto è, purtroppo, molto frequente, in quanto spesso gli imprenditori eseguono dei pagamenti verso alcuni creditori (magari più insistenti) proprio nella speranza di evitare il fallimento o di ottenere “aiuti” in vista di uno sperato concordato o di una ripresa dell’attività.
Tali pagamenti vengono, a volte, eseguiti senza considerare che , purtroppo, quando l’impresa è entrata in uno stato di insolvenza cronico è dovere dell’imprenditore astenersi dal pagare i suoi creditori (con alcuni limiti specifici ed eccezioni da analizzare caso per caso) , in vista di una procedura concorsuale e della tutela della “par condicio creditorum”.
In relazione a quanto sopra, uno dei dilemmi più frequenti per l’imprenditore che presagisce (o programma) il fallimento a breve della società è dato dal pensiero di pagare, almeno, gli stipendi e le liquidazioni ai suoi dipendenti.
Per tentare di comprendere se tale comportamento sia lecito o meno bisogna rilevare, innanzi tutto, come i lavoratori siano creditori privilegiati. Pertanto, in caso di fallimento, dovrebbero essere soddisfatti in via prioritaria con la conseguenza che, se tutti i dipendenti fossero pagati con lo stesso criterio e senza fare preferenze, non vi sarebbe concretamente lesione dei diritti degli altri creditori che, in ogni caso, sarebbero in coda nel riparto.
In questo senso anche la sezione V della Suprema Corte di Cassazione, già con una pronuncia del 28/05/1991, ha stabilito che l’imprenditore che, prima del fallimento, paghi i crediti privilegiati – stipendi e liquidazioni di propri dipendenti – non commetta il reato di bancarotta preferenziale in quanto l’eventuale sussistenza del predetto delitto implica il concorso di altri crediti – con privilegio di grado prevalente o eguale – rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti e non di qualsiasi altro credito.
Si rileva, a ulteriore sostegno di tale tesi, che i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate a dipendenti in caso di fallimento non siano soggetti ad azione revocatoria ex art. 67 l.f. , così che non è possibile ipotizzare che questi fatti possano integrare il delitto di bancarotta preferenziale, proprio perchè, come detto, non sono idonei a pregiudicare le ragioni degli altri creditori.
In ogni caso è doveroso sottolineare come ogni situazione debba essere analizzata in concreto, tenendo conto di ogni aspetto, a maggior ragione all’interno di una procedura fallimentare che presenta numerosi profili problematici e necessita dell’apporto di professionisti specializzati.